redatto da Lenin nell’autunno del 1914 e pubblicato sul giornale bolscevico Social-Demokrat nel fascicolo del 1 novembre 1914 (n.33), è uno dei primi scritti di Lenin dopo il crollo della II Internazionale. Il testo era già stato pubblicato in varie raccolte degli scritti del rivoluzionario russo. Viene qui riproposto perché in modo sintetico e sferzante si affronta la questione del passaggio dall’ opposizione alla guerra alla necessità di trasformare la guerra imperialista in guerra civile. L’opposizione alla guerra per Lenin, infatti, ha un qualche senso prima dello scoppio dei conflitti e mai dopo. Per Lenin, a questo punto, per dirla con una parola d’ordine, non è più questione né di pace né di guerra ma di rivoluzione: non è più questione di bloccare la macchina bellica imperialista, quanto di farla saltare.
Si ringrazia il sito La giovane talpa per avere trascritto e reso disponibile il testo
HTML mark-up: mishu, novembre 2003.
La cosa più penosa nella crisi attuale è la vittoria del nazionalismo borghese, dello sciovinismo sulla maggioranza dei rappresentanti ufficiali del socialismo europeo. Non per niente i giornali borghesi di tutti i paesi ora si beffano di loro, ora li elogiano con condiscendenza. E non vi è compito più importante per chi voglia restare socialista, che quello di chiarire le cause della crisi socialista e di analizzare i compiti dell’Internazionale.
C'è gente che ha paura di riconoscere questa verità, e cioè che la crisi, o più esattamente il fallimento della II Internazionale, è il fallimento dell'opportunismo.
Essa si richiama, per esempio, all'unanimità dei socialisti francesi, al preteso completo spostamento delle vecchie frazioni del socialismo sulla questione dell'atteggiamento verso la guerra. Ma questi riferimenti sono inesatti,
La difesa della collaborazione delle classi, il ripudio dell'idea della rivoluzione socialista e dei metodi rivoluzionari di lotta, l'adattamento al nazionalismo borghese, il dimenticare il carattere storicamente transitorio delle frontiere di una nazionalità o della patria, la trasformazione in feticcio della legalità borghese, la rinunzia al punto di vista di classe e alla lotta di classe per paura di allontanare da sé le “larghe masse della popolazione” (leggi piccola borghesia): queste sono, indubbiamente, le basi ideologiche dell'opportunismo, Proprio su questo terreno è cresciuto l'attuale orientamento sciovinista, patriottico della maggior parte dei dirigenti della II Internazionale. La prevalenza di fatto, fra di loro, degli opportunisti è stata rilevata da tempo dalle più diverse parti, da diversi osservatori. La guerra ha soltanto rivelato con particolare rapidità e nettezza le reali proporzioni di questa prevalenza, Non può sorprendere che una crisi così straordinariamente acuta abbia provocato una serie di nuovi schieramenti nelle vecchie frazioni. Ma in generale questi nuovi schieramenti riguardano solo gli individui. Le tendenze in seno al socialismo sono rimaste quelle di prima.
Non c'è piena unanimità fra i socialisti francesi. Lo stesso Vaillant, che segue la linea sciovinista insieme con Guesde, Plechanov, Hervé, ecc. deve riconoscere che riceve lettere da socialisti francesi i quali protestano dicendo che la guerra è una guerra imperialista e che la borghesia francese ne è responsabile non meno delle altre. Non bisogna dimenticare che queste voci sono soffocate non solo dall'opportunismo trionfante, ma anche dalla censura militare. Fra gli inglesi, il gruppo Hyndman (i socialdemocratici inglesi, il Partito socialista britannico) è completamente caduto nello sciovinismo, come la maggioranza dei capi semiliberali delle Trade-Unions. Si oppongono allo sciovinismo MacDonald e Keir Hardie, del “Partito operaio indipendente” opportunista. È veramente un’eccezione alla regola. Ma alcuni socialdemocratici rivoluzionari, da molto tempo in lotta contro Hyndman, sono ora usciti dalle file del “Partito socialista britannico”. In Germania il quadro è chiaro; gli opportunisti hanno vinto, esultano, si trovano a loro agio. Il “centro”, con Kautsky alla testa, è ruzzolato verso l'opportunismo e lo difende con sofismi particolarmente ipocriti, volgari e presuntuosi. Dalle file dei socialdemocratici rivoluzionari si fanno sentire le proteste di Mehring, di Pannekoek, di K. Liebknecht, di molte voci anonime in Germania e nella Svizzera tedesca. Anche in Italia i raggruppamenti sono chiari; gli ultraopportunisti, Bissolati e soci, sono per la “patria”, per Guesde, Vaillant, Plechanov, Hervé. I socialdemocratici rivoluzionari (“partito socialista”), con L’Avanti! alla testa, lottano, con l'appoggio della stragrande maggioranza degli operai più progrediti, contro lo sciovinismo, e denunciano gli interessi borghesi celati sotto gli appelli alla guerra. In Russia gli ultraopportunisti del campo dei liquidatori hanno già fatto sentire la loro voce nelle conferenze e nella stampa per difendere lo sciovinismo. P. Maslov ed E. Smirnov difendono lo zarismo col pretesto di difendere la patria (la Germania, vedete un po’, minaccia di imporre “a noi”, “con la forza della spada”, dei trattati commerciali, mentre lo zarismo, certo, non ha soffocato e non soffoca, con la forza della spada, della frusta e della forca, la vita economica, politica e nazionale dei nove decimi della popolazione della Russia!), e giustificano l'entrata dei socialisti nei ministeri reazionari borghesi e il voto a favore dei crediti di guèrra oggi, a favore di nuovi armamenti domani!! Plechanov, che copre di francofilia il suo sciovinismo russo, e Aleksinskij sono ruzzolati anche loro nel nazionalismo. Martov, giudicando dal Golos di Parigi, ha l'atteggiamento più corretto in questa compagnia, dato che combatte e lo sciovinismo tedesco e quello francese e si leva sia contro il Vorwärts che contro il signor Hyndman, e contro Maslov, ma ha paura, di dichiarare decisamente guerra all'opportunismo internazionale e al suo “più influente” difensore, il “centro” della socialdemocrazia tedesca. I tentativi di presentare il volontariato come l'attuazione dei compiti socialisti (cfr. la dichiarazione del gruppo dei volontari russi a Parigi, socialdemocratici e socialisti-rivoluzionari, come pure dei socialdemocratici polacchi, di Leder ecc.) hanno trovato un difensore solo in Plechanov, La maggior parte della sezione parigina del nostro partito ha condannato questi tentativi. I lettori possono vedere la posizione del CC del nostro partito dall'articolo di fondo di questo numero. Per quanto riguarda la storia della formulazione delle opinioni del nostro partito, dobbiamo, per evitare malintesi, stabilire i seguenti fatti: un gruppo di mèmbri del nostro partito, superando immense difficoltà per ristabilire i legami organizzativi spezzati dalla guerra, ha inizialmente elaborato delle “tesi” e le ha fatte circolare fra i compagni dal 6 all'8 settembre (nuovo calendario). Poi, per tramite dei socialdemocratici svizzeri, le ha fatte avere a due mèmbri della Conferenza italo-svizzera di Lugano (27 settembre). Solo alla metà di ottobre si è riusciti a ristabilire legami e a formulare il punto di vista del Comitato centrale del partito. L'articolo di fondo di questo numero è la stesura definitiva delle “tesi”.
Questa è, in breve, la situazione nella
socialdemocrazia europea e russa. Il fallimento dell'Internazionale è evidente.
La polemica di stampa fra socialisti francesi e tedeschi lo 'ha dimostrato
definitivamente. Lo hanno riconosciuto non solo i socialdemocratici di sinistra
(Mehring e la Bremer Bürger-Zeitung), ma anche gli organi moderati
svizzeri (il Volksrecht). I tentativi di Kautsky di nascondere questo
fallimento non sono che una vile scappatoia. E questo fallimento è precisamente
il fallimento dell'opportunismo, che si è rivelato prigioniero della
borghesia.
La posizione della borghesia è chiara. Non
meno chiaro è che gli opportunisti ripetono ciecamente i suoi argomenti. A
quanto è detto nell'articolo di fondo si potrebbe forse ancora aggiungere la
semplice menzione dei discorsi dileggiatori della Neue Zeit, secondo la
quale l’internazionalismo sta proprio nel fatto che gli operai di un paese sparino
contro gli operai di un altro in nome della difesa, della patria!
La questione della
patria, risponderemo agli opportunisti non si può pone ignorando il carattere
storico concreto della guerra attuale. È una guerra imperialistica, cioè una
guerra dell'epoca del capitalismo sviluppatesi al massimo grado, dell'epoca
della fine del capitalismo. La classe operaia deve inizialmente
“costituirsi in nazione”, dice il Manifesto comunista,
indicando cosi in quali limiti e a quali condizioni noi riconosciamo
la nazionalità e la patria come forme necessario del regime borghese e, di
conseguenza, della patria borghese. Gli opportunisti travisano questa verità
trasferendo ciò che è giusto per l’epoca del capitalismo nascente all'epoca
della fine del capitalismo. E a proposito di quest'epoca, dei compiti del
proletariato nella lotta per l’abolizione non del feudalesimo, ma del
capitalismo, il Manifesto comunista dice con chiarezza e precisione:
“Gli operai non hanno patria”. Si capisce perché gli opportunisti abbiano paura
di riconoscere questa verità del socialismo, abbiano perfino paura, nella
maggior parte dei casi, di affrontarla apertamente. Il movimento socialista
non può vincere nei vecchi limiti della patria. Esso crea nuove forme superiori
di convivenza umana, nelle quali le esigenze legittime e le aspirazioni
progressive delle masse lavoratrici di ogni nazionalità saranno per la
prima volta soddisfatte nell'unità internazionale, a condizione che vengano
abolite le attuali frontiere nazionali. Ai tentativi della borghesia
contemporanea di dividere e disunire gli operai richiamandosi ipocritamente
alla “difesa della patria”, gli operai coscienti risponderanno con nuovi e
ripetuti sforzi per stabilire l’unità degli operai delle diverse nazioni nella
lotta per abbattere il dominio della borghesia di tutte le nazioni.
La borghesia inganna
le masse mascherando la rapina imperialista con la vecchia ideologia della
“guerra nazionale”. Il proletariato smaschera questo inganno proclamando la
parola d’ordine della trasformazione della guerra imperialista in guerra
civile. Proprio questa parola d’ordine è stata proposta dalle risoluzioni di
Stoccarda e di Basilea che prevedevano appunto non una guerra in generale, ma
la guerra attuale, e non parlavano della “difesa della patria”, ma del dovere
di “affrettare il crollo del capitalismo”, di utilizzare a questo scopo la
crisi suscitata dalla guerra, parlavano dell'esempio della Comune. La Comune è
stata la trasformazione di una guerra tra popoli in guerra civile.
Tale trasformazione, certo, non è facile e non
si può attuare “per desiderio” di qualche partito. Ma essa corrisponde proprio
alle condizioni obiettive del capitalismo in generale, e dell’epoca della fine
del capitalismo in particolare. E in questa direzione, solo in questa direzione,
deve essere orientato il lavoro dei socialisti. Non votare i crediti militari,
non incoraggiare lo sciovinismo del “proprio” paese (e dei paesi
alleati), combattere in primo luogo contro lo sciovinismo della “propria”
borghesia, senza limitarsi alle forme legali di lotta quando sia sopraggiunta
una crisi e la borghesia stessa abbia eliminato la legalità che aveva creato:
ecco la linea d’azione che porta alla guerra civile e che
condurrà ad essa in questo o quel momento dell'incendio di tutta l'Europa.
La guerra non scoppia
per caso, non è un “peccato”, come pensano i preti cristiani (che predicano il
patriottismo, l’umanitarismo e la pace non peggio degli opportunisti), ma una
tappa inevitabile del capitalismo, una forma della vita capitalistica,
legittima come la pace. Ai nostri giorni la guerra è una guerra di popoli. Da
questa verità non consegue che si debba seguire la corrente “popolare” dello
sciovinismo, ma consegue che le contraddizioni di classe che lacerano i popoli
continuano a esistere e si manifesteranno anche in tempo di guerra, anche in
guerra, anche in forma militare. Il rifiuto di prestare servizio militare, lo
sciopero contro la guerra, ecc., sono una pura sciocchezza, un sogno misero e
vile di una lotta disarmata contro la borghesia armata, l'illusione di
distruggere il capitalismo senza un’accanita guerra civile, o una serie di tali
guerre. La propaganda della lotta di classe è un dovere del socialista anche
nell’esercito; il lavoro volto a trasformare la guerra tra i popoli in guerra
civile è l'unico lavoro socialista nell'epoca del conflitto imperialista
armato delle borghesie di tutti i paesi. Abbasso i pii voti sentimentali e
sciocchi sulla “pace a tutti i costi”! Leviamo la bandiera della guerra civile!
L'imperialismo ha messo in gioco le sorti della civiltà europea: se non vi sarà
una serie di rivoluzioni vittoriose, a questa guerra ne seguiranno presto
altre; la favola dell’ “ultima guerra” è una favola vana e dannosa, è un
“mito” piccolo-borghese (secondo la giusta espressione del Golos). Se
non è oggi, sarà domani, se non durante questa guerra, dopo la guerra, se non
in questa guerra, nella prossima, la bandiera proletaria della guerra civile
raccoglierà intorno a sé non solo centinaia di migliaia di operai coscienti,
ma anche milioni di semiproletari e di piccoli borghesi ora ingannati dallo
sciovinismo, e che gli orrori della guerra non solo spaventano e
abbruttiscono, ma illuminano, istruiscono, destano, organizzano, temprano e
preparano alla guerra contro la borghesia del “proprio” paese e dei paesi “altrui”.
La II Intemazionale è morta, vinta
dall'opportunismo. Abbasso l'opportunismo e viva la III Internazionale, epurata
non solo dei “transfughi” (come si augura il Golos), ma anche
dell'opportunismo.
Nell'ultimo terzo del secolo XIX e all'inizio
del XX la II Internazionale ha compiuto la sua parte di utile lavoro
preparatorio, di organizzazione delle masse proletarie nel lungo periodo
“pacifico” della più crudele schiavitù capitalistica e del più rapido progresso
capitalistico. Alla III Internazionale spetta il compito di organizzare le
forze del proletariato per l'assalto rivoluzionario, contro i governi
capitalistici, per la guerra civile contro la borghesia di tutti i paesi, per
il potere politico, per la vittoria del socialismo!
Ultima modifica 18.11.2003