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La crisi di squilibrio del capitalismo italiano

Arrigo Cervetto (1970)


Pubblicato su Lotta Comunista n°40 e n°41, febbraio-marzo 1970
Trascritto per internet da Antonio Maggio (Primo Maggio)
HTML mark-up per il MIA: Dario Romeo, novembre 2003

Un esame delle lotte sociali degli ultimi mesi conferma pienamente l'analisi dei rapporti di classe in Italia che la nostra organizzazione da tempo porta avanti. La nostra tesi è che la crisi in atto e una crisi di "squilibrio ", squilibrio tra lo sviluppo strutturale che porta il capitalismo italiano ad una consistente maturazione imperialistica e lo sviluppo della sovrastruttura statale e politica. Questo non vuol dire che non vi sia crisi nella struttura economica; anzi, i fattori generanti la crisi in tutto il sistema risiedono proprio nell'economia.

Questo vuol dire invece, che la particolarità della crisi del sistema capitalistico in Italia è costituita da un determinato tipo di squilibrio tra la struttura e la sovrastruttura.

Dato che una corretta strategia rivoluzionaria deriva proprio da una corretta analisi scientifica del processo di movimento della formazione economico-sociale, compito dell'analisi sarà non solo e non tanto quello di ricostruire teoricamente il movimento nella sua totalità quanto e soprattutto quello di individuare nel movimento stesso i punti fondamentali di disfunzione, i nodi specifici della crisi di funzionamento o, in altre parole, le parti in cui, in un determinato momento, la crisi costante e permanente del sistema sociale si manifesta con particolare virulenza. Individuate queste parti si prospetta finalmente per la strategia rivoluzionaria il campo d'azione su cui applicarsi, distribuire e concentrare le forze della lotta di classe.

Quando la nostra analisi marxista definisce crisi di squilibrio l'attuale crisi stabilisce, contemporaneamente, una serie di conclusioni politiche; conclusioni politiche che non riguardano ovviamente solo una nostra posizione tattica, a breve scadenza, ma che si riferiscono soprattutto ad una visione strategica, a medio e a lungo termine.

Se vediamo la collocazione delle classi e delle frazioni di classe nel corso della "crisi di squilibrio" del sistema capitalistico negli ultimi mesi, troviamo confermate le tendenze di sviluppo da noi precedentemente indicate.

La prima constatazione che possiamo fare è che non vi sono stati rilevanti spostamenti sociali e politici in confronto a quelli da noi indicati nel rilevamento, nell'analisi e nella previsione delle tendenze di sviluppo della società italiana. Le previste tendenze di sviluppo si sono delineate in modo estremamente determinato. Ciò dimostra ancora una volta, la validità di tre fondamentali criteri marxisti:

1 ) la validità di definire la costante reiterabilità di fenomeni presenti in un processo di sviluppo economico-sociale col termine di "legge oggettiva";

2) la validità di definire "determinante" il movimento, regolato da leggi oggettive, della struttura economica in confronto al movimento della sovrastruttura politica ed ideologica;

3) la validità di procedere ad un'analisi della congiuntura politica partendo proprio da una corretta analisi scientifica del movimento economico e ponendo questo ultimo come base obbligata di riferimento alla prima.

In altri termini ne viene confermato che anche in presenza di una "crisi di squilibrio" tra struttura e sovrastruttura, tra apparato produttivo e Stato, proprio quando i fattori politici e sovrastrutturali sembrano giocare un forte ruolo ed essere svincolati dal movimento economico, la migliore interpretazione è sempre quella che si basa sul criterio marxista della ricerca del fattore "determinante" nelle tendenze di sviluppo strutturale.

Non si tratta di affermare semplicisticamente che l'economia determina la politica, principio teorico valido per l'analisi di una intera epoca storica ma insufficiente ad una analisi di una situazione contingente. Del resto in un sistema capitalistico maturato imperialisticamente come quello italiano, la compenetrazione tra economia e politica è talmente avanzata che distinzioni di questo genere non hanno senso.

Si tratta piuttosto di individuare in tale complessa compenetrazione una serie di fenomeni oggettivi nel processo di produzione e di riproduzione del capitale e, quindi, partendo proprio da questi fenomeni oggettivi definire la collocazione concreta e storicamente data delle classi sociali nel processo produttivo e di conseguenza nel processo distributivo.

L'attualità politica, il rapporto reciproco tra le classi si articola dentro e attorno al processo di produzione del capitale. Se da un lato è puro determinismo vedere l'attività politica come un riflesso immediato del processo produttivo, dall'altro è puro idealismo (e quindi puro opportunismo) misconoscere il legame oggettivo e determinato che esiste tra il processo produttivo e l'attività sovrastrutturale.

Parliamo di un nesso oggettivo e quindi di una oggettiva interdipendenza e non di una generica influenza che qualsiasi ideologia borghese è sempre pronta a riconoscere. Afferrare questo nesso oggettivo, afferrare questa mediazione politica che ha un arco di oscillazione entro limiti oggettivi, significa afferrare l'anello di una catena, come dice Lenin, per tirare la catena intera e per conoscere la successione degli anelli, o in altri termini, la successione degli avvenimenti nella loro reciproca interdipendenza e nella loro reciproca collocazione.

La seconda constatazione che possiamo fare esaminando gli ultimi mesi è che il previsto arco di oscillazioni si e dimostrato, in ultima istanza, abbastanza ristretto. Le oscillazioni prevedibili erano maggiori di quelle effettivamente avvenute e, per la verità, noi le avevamo previste maggiori.

Le oscillazioni non hanno sostanzialmente intaccato i muri portanti della tendenza di sviluppo. Il grande capitale industriale non ha oscillato minimamente nello sviluppo della sua linea generale. Il grande capitale industriale dei gruppi FIAT MONTEDISON-PIRELLI e del capitalismo di stato (IRI-ENI-ENEL) ha portato avanti la sua linea riformistico-imperialistica.

Sul mercato mondiale ha portato avanti la sua espansione. Sul mercato interno ha portato avanti la contrattazione della forza-lavoro, nelle forme e nei tipi corrispondenti alla sua espansione esterna, puntando sul rafforzamento del tradeunionismo sindacale.

La contemporanea firma dei contratti sindacali e del contratto URSS-ENI (per un valore superiore ai 3 miliardi di dollari) simboleggia l'affermazione di questa duplice tendenza.

Il grande capitale industriale, privato e statale non si è spostato dalla sua direttrice di marcia. E' andato semplicemente avanti!

Spostamenti rilevanti invece, sono avvenuti nella classe operaia e nella piccola borghesia ma, come avevamo gia sostenuto, non hanno modificato la linea generale del capitalismo italiano, anzi l'hanno confermata e in definitiva rafforzata.Le lotte contrattuali hanno accentuato e rafforzato ulteriormente la linea tradeunionistica nel movimento operaio. Date le preesistenti condizioni non poteva essere altrimenti. Si può dire che le lotte contrattuali non sono state che la grande occasione perché la maturazione tradeunionistica, diffusa in modo generalizzato e manifestatasi in mille episodi, potesse esprimersi in un movimento ad ampio respiro. La capacita delle burocrazie sindacali e stata quella di dare una direzione organiz-zata ad una tendenza in atto. Non aver avuto questa capacita avrebbe significato per le attuali burocrazie sindacali prepararsi al suicidio. Inevitabilmente sarebbero state sostituite da nuove dirigenze sindacali, da nuove burocrazie sorgenti da attività sindacali di contrattazione di forza lavoro, "dal basso", a livello aziendale. In un certo senso, era inconcepibile ritenere che le attuali burocrazie non avessero la capacita di recepire la tendenza tradeunionistica che, in fondo, coincide con la loro vera natura.

Già da tempo i gruppi dirigenti sindacali più sensibili al tradeunionismo avevano avvertito la crisi del parlamentarismo e dei partiti parlamentaristici e stavano portando avanti un graduale distacco da queste organizzazioni. Potevano quindi essere nelle condizioni di offrire una alternativa tradeunionistica alla classe operaia. Ma questa fase di trapasso non si sarebbe avviata così rapidamente e senza grandi scosse se la strategia del grande capitale industriale non avesse avuto bisogno di un forte sindacato tradeunionista come elemento di equilibrio sociale nella crisi che travaglia il sistema italiano.

In questo senso l'alleanza oggettiva tra grande capitale industriale e sindacato tradeunionista, assume un significato che va oltre la consueta collaborazione di classe portata avanti dai sindacati in Italia dal 1943. Non a caso specifichiamo come tradeunionista l'attuale posizione dei sindacati. Con questo termine vogliamo indicare che il punto di riferimento della politica sindacale di collaborazione di classe si sposta dalla precedente alleanza con gli strati piccolo-borghesi, alleanza corrispondente agli interessi elettorali dei partiti parlamentari che dirigevano i sindacati, ad un nuovo tipo di alleanza con il grande capitale industriale. Più che di alleanza, sia nel primo che nel secondo caso, dovremmo parlare di subordinazione; ma anche quest'ultimo termine risulterebbe restrittivo ed insufficiente a descrivere il ruolo del tradeunionismo nella moderna società imperialistica. Mentre la subordinazione è di fatto alla generale politica imperialistica del capitalismo italiano, l'alleanza avviene all'interno di tendenze di sviluppo incontestate e incontestabili nella semplice attività sindacale, avviene cioè nel ruolo che il tradeunionismo assume nella contrattazione della forza-lavoro.

Subordinato all'imperialismo il sindacato tradeunionista deve comunque poter svolgere il suo ruolo di contrattatore in margini tali che gli permettano una certa incidenza sul proletario. Deve cioè avere un ruolo effettivo sul mercato della forza-lavoro. Nella misura in cui acquisisce un peso di contrattazione e in cui esprime effettivamente le condizioni del mercato il sindacato da un lato assolve il suo ruolo tradeunionista e, dall'altro, diventa un efficace alleato del grande capitale industriale.

Il rafforzamento del tradeunionismo è stato lo spostamento più rilevante che si sia verificato in seno alla classe operaia negli ultimi mesi. E' un fatto importante che non può essere in alcun modo sottovalutato. Sotto molti aspetti può essere considerato una svolta nella storia del proletariato italiano, svolta preparata da decenni di esperienza parlamentaristica e da ripetuti insuccessi sindacali. Il rafforzamento dd tradeunionismo è stata la logica conseguenza della crisi di una politica sindacale strettamente collegata al parlamentarismo, cioè è stata una delle principali conseguenze della "crisi di squilibrio" che ha colpito il sistema sociale italiano.

La sovrastruttura statale, partitica, parlamentare ad un certo momento non e più riuscita ad avere una funzione corrispondente e quindi utile dal punto di vista dell'equilibrio del sistema capitalistico, all'atto fondamentale dei rapporti di produzione: la contrattazione della forza-lavoro. Capitale e salario hanno manifestato la tendenza a trovare forme di contrattazione che travalichino le inadeguate forme di organizzazione del mercato della forza-lavoro e che si esprimano in un rapporto di tipo tradeunionista, al quale infine dovrebbe adeguarsi la parte più dinamica della burocrazia statale. Queste tendenze oggettive del mercato della forza lavoro sono state tanto forti che hanno finito col prevalere. Il rapporto triangolare nella contrattazione si e alfine delineato in un tipico quadro tradeunionista in cui accanto ai due protagonisti che l'avevano promosso, grande capitale industriale e sindacato, si e collocato il gruppo burocratico-statale, perfettamente adeguatosi alla nuova dinamica contrattuale, capeggiato da Donat Cattin. Quale elemento parziale di superamento della crisi di funzionamento del sistema, Donat Cattin è stato certamente "l'uomo nuovo" di fronte ai "vecchi uomini" parlamentari che, per l'occasione, sono stati messi fuori gioco.

Accanto allo spostamento che si e verificato nel proletariato uno spostamento ancora più rilevante e avvenuto nella piccola borghesia. Cosi come la tendenza tradeunionista del proletario non va sottovalutata, la tendenza reazionaria della piccola-borghesia deve essere seriamente considerata.

Il fatto che non abbia effetti determinanti sulla linea generale del capitalismo italiano non riduce la sua consistenza. Dimostra soltanto la sua impotenza nella attuale situazione.

Ma se riscontriamo che la tendenza reazionaria della piccola borghesia si e accentuata dobbiamo nello stesso tempo ricercare le cause contingenti di questo fenomeno. Far questo significa individuare la collocazione sociale degli strati piccoli borghesi nel meccanismo di produzione del capitale e di suddivisione del plusvalore quale si presenta in Italia. Non si tratta tanto di tracciare un schema tipico del processo complessivo della produzione del capitale quanto di delineare il quadro concreto che risulta dall'azione delle leggi oggettive della produzione capitalistica in Italia. Ne scaturisce certamente una conferma dello schema tipico, ma questa tipicità si sostanzia immediatamente in una serie di aspetti particolari.

L'esistenza di strati piccoli borghesi rappresenta un dato costante e tipico della società capitalista giunta alla maturità imperialistica. Ogni paese imperialista ha una componente piccolo borghese. Ma la collocazione sociale della piccola borghesia nel processo di produzione di distribuzione del plusvalore varia da paese a paese poiché una serie di fattori determinano il carattere produttivo o parassitario degli strati piccolo borghesi e questa serie di fattori varia da paese a paese.

In ogni paese ad esempio esiste una piccola borghesia commerciale ma la grandezza quantitativa, il peso specifico in rapporto a tutta la borghesia e in rapporto alla sola piccola borghesia, il peso specifico in rapporto a tutto il proletariato variano proprio in dipendenza dal grado di concentrazione stesso della borghesia commerciale, proprio in dipendenza dal grado di concentrazione del cosiddetto apparato distributivo. Così si può dire per la presenza e la consistenza della piccola borghesia nei settori produttivi dell'industria e dell'agricoltura.

Ne deriverà che, nella tendenza generale della società capitalista, nello schema tipico che vede aumentare progressivamente il carattere parassitario della piccola borghesia avremo situazioni concrete differenziate. Ogni paese imperialista esprimerà in modo differenziato quello che potremmo chiamare "grado di parassitismo piccolo-borghese".

Ogni paese imperialista avrà una diversa "composizione parassitaria" della piccola borghesia poiché, per riscontro, ogni paese imperialista avrà un diverso grado di piccola borghesia produttiva. Sulla base di questi criteri si può quindi affrontare il problema dell'orientamento politico degli strati piccolo-borghesi astraendo da ogni valutazione moralistica e soggettivistica. Si tratta di determinare la quota di plusvalore, magari in percentuale sul plusvalore totale, di cui si appropriano gli strati piccolo borghesi produttivi e parassitari Questa quota di plusvalore costituisce la base oggettiva del rapporto sociale, e quindi politico, che gli strati piccolo borghesi instaurano con le due classi fondamentali ed essenziali della società capitalistica, la grande borghesia e il proletariato.

Ovviamente la nostra tesi per ragioni di spazio, è estremamente schematizzata, costituisce pero lo scheletro da cui non si può prescindere se si vuole conoscere il corpo del comportamento politico e sociale degli strati piccolo borghesi.

Quindi per conoscere tutte le reazioni della piccola borghesia ogni qual volta, per tutta una serie di ragioni dipendenti dallo sviluppo capitalistico, da processi di concentrazione, da crisi, la piccola borghesia ha visto ridursi o avvertito la tendenza alla riduzione della quota di plusvalore di cui si appropria, il suo comportamento è stato quello tipico della conservazione ad ogni costo di tale quota. Il meccanismo con cui si articola questo comportamento sociale-politico presenta molteplici aspetti che vanno dall'utilizzo del riformismo all'appoggio del fascismo. Comunque il meccanismo e un tipico meccanismo reazionario nel duplice senso che è reazionario dal punto di vista della rivoluzione proletaria ed è reazionario dal punto di vista dello sviluppo capitalistico e della concentrazione e proletarizzazione conseguenti allo sviluppo stesso.

Il comportamento reazionario della piccola borghesia si misura perciò in rapporto alla quota di plusvalore estratto dal proletariato ch'essa cerca di conservare ad ogni costo nei momenti in cui tale quota a destinazione piccolo borghese tende a diminuire od anche a non aumentare. Con questo metro oggettivo va valutato il comportamento reazionario della piccola borghesia poiché, come abbiamo detto, tale atteggia mento può manifestarsi in varie forme. Quando la piccola borghesia commerciale utilizza il PCI per portare avanti un tipo di riforma dell'apparato distributivo o quando appoggia lo squadrismo fascista che esalta la piccola proprietà, in fondo si comporta nello stesso modo reazionario per impedire la concentrazione, tramite i supermarket, del settore commerciale ad opera del grande capitale. Cioè tende, attraverso vari strumenti politici, a conservare la quota di plusvalore di cui si appropria nell'apparato distributivo.

Il fatto che la piccola borghesia negli ultimi mesi abbia manifestato la tendenza ad abbandonare in certa misura l'utilizzo dei tradizionali strumenti riformistici e ad accentuare lo appoggio a tradizionali strumenti reazionari non dimostra che improvvisamente la piccola borghesia ha scoperto una vocazione reazionaria che era rimasta sopita ed invischiata nell'involucro riformista e parlamentare, dimostra invece che improvvisamente la piccola borghesia si e trovata di fronte un fenomeno nuovo che rischiava di vanificare il suo utilizzo dei consueti organismi riformisti e parlamentari. Di fronte alla strategia del grande capitale industriale che punta al rafforzamento del sindacato tradeunionista, come unico valido interlocutore interno e come indispensabile coadiuvante nella esterna espansione imperialistica, la reazione della piccola borghesia, che ha sorpreso e preoccupato solo chi non ne ha mai compreso la natura sociale, è stata quella naturale della istintiva conservazione delle posizioni sociali acquisite.

Apparentemente ci troviamo di fronte al tipico "contraccolpo" reazionario di larghi strati piccolo-borghesi e borghesi che contrassegna sempre la risposta all'intensificarsi del movimento economico e per certi aspetti politico, della classe operaia. Il "contraccolpo" reazionario appare formalmente come un prodotto spontaneo di fronte al manifestarsi della forza della classe operaia, come una istintiva paura di fronte a quello che tale forza rappresenta e a quello che minaccia di essere.

In realtà non è cosi. Solo che si vada più a fondo della spiegazione "democratica", social democratica, riformistica del "contraccolpo" reazionario, ci si accorge che questa spiegazione nasconde un processo più organico o almeno che e costituzionalmente incapace di vederlo. La tesi che estremismo provoca per reazione estremismo opposto è una tesi ideologica, un pregiudizio tanto duro a morire quanto più la strategia riformistica del grande capitale e delle forze opportunistiche ad esso collegate, ha interesse a mantenerlo in vita.

Non è l'estremismo che determina i rapporti di forza tra le classi sociali e il loro mutamento. E' la base economica. Su questa e sulle leggi di movimento che la regolano, si instaurano i rapporti oggettivi, si determina la potenzialità di violenza che ogni classe può esprimere; violenza di cui l'estremismo non è che un fenomeno superficiale od una disfunzione nell'uso della stessa capacità di violenza.

E' mistificatorio spiegare la storia delle lotte di classi utilizzando i fenomeni superficiali di queste e trascinandoli al centro della scena quali protagonisti principali da semplici comparse come in realtà sono.

E poi se ogni fase delle lotte di classe esprime, in modo quasi inevitabile diremo, un margine di estremismo, per cui avremo frange estremiste per ogni classe in movimento, dovremo infine riscontrare che il tipo di estremismo sarà corrispondente al tipo di lotte di classi. Per cui si può dire che ad un tipo " riformistico" delle lotte di classi corrisponderà un estremismo "riformista". A questo punto, la riformistica tesi degli estremismi opposti finisce mordendosi la coda.

Quale è quindi l'oggetto del l'attuale "contraccolpo" piccolo-borghese? E' il tipo delle lotte di classi che si e aperto negli ultimi mesi. Questo tipo di lotte ha si espresso forme di estremismo. Ma queste forme di estremismo sono strettamente collegate alla natura tradeunionistica delle lotte stesse. Abbiamo cosi un estremismo tradeunionista ed un "contraccolpo" antitradeunionista. Che poi molti gruppi "estremisti" neghino di essere tradeunionista e più che naturale: fa parte della loro ideologia spontaneistica così come l'ideologia spontaneistica ed economistica è parte integrante di quel tradeunionismo che nega a parole ed attua costantemente nei fatti. Del resto era logico che lo sviluppo del tradeunionismo in Italia fosse accompagnato da un'ondata spontaneistica che teorizzasse ed esaltasse la spontaneità tradeunionistica sorgente dalla classe operaia e che nella critica estremistica ai partiti aiutasse l'affermarsi del tradeunionismo stesso, il quale si caratterizza proprio nella misura in cui si distacca dai partiti e nell'autonomia politica trova le ragioni della sua forza in quanto può portare avanti una politica corrispondente esclusivamente ai suoi interessi.

Il tradeunionismo e una politica; esiste una politica tradeunionistica, afferma Lenin. In un certo senso il tradeunionismo è un partito. Il distacco dei sindacati dai partiti è quindi il distacco dai partiti quali oggi sono, cioè partiti parlamentaristici. In definitiva è il distacco da un sistema di partiti parlamentaristici. In definitiva è il distacco da un sistema di partiti parlamentaristici incapaci, nel loro condizionamento, di svolgere un ruolo di mediazione nello attuale livello di contrattazione tra capitale e forza-lavoro in un mercato del lavoro sviluppatosi dinamicamente. Questo ruolo di mediazione può assolverlo un sindacato che non subisca più condizionamenti elettoralistici dei partiti.

Di qui il nuovo rapporto sindacati-partiti. In questo nuovo rapporto, i sindacati si presentano come forti gruppi organizzati che portano avanti una politica in modo autonomo dai partiti.

Quello che noi constatiamo è che l'essenza di questa politica non contrasta con le tendenze di sviluppo del grande capitale industriale, anzi le asseconda. Lo asse centrale dell'alleanza grande capitale industriale-sindacati è costituito dalla convergenza di una politica che tende ad adattare lo Stato ad una strategia di espansione imperialistica o, per meglio dire, che tende ad accelerare l'adattamento dello Stato alle esigenze di tale strategia.

II grande capitale industriale ha interesse a "riformare" lo Stato secondo le sue specifiche esigenze, ma non può, da solo attuare questo obiettivo poiché sullo Stato e sulla sua particolare organizzazione premono tutte le altre frazioni borghesi le quali, in vario modo, sono beneficiate dall'attuale funzionamento dello Stato. Il grande capitale industriale ha quindi bisogno di utilizzare la classe operaia per ridimensionare il peso delle altre frazioni borghesi sull'apparato statale e per poterlo cosi modellare secondo le sue specifiche esigenze; in altre parole, per farlo funzionare meglio nell'organizzazione dell'espansione imperialistica. Solo un sindacato che unifichi tradeunionisticamente la classe operaia può assicurare l'appoggio. In cambio di cosa? In cambio del rafforzamento stesso del sindacato che ne deriva dal processo di sviluppo dell'espansione imperialistica del capitalismo italiano nel mercato mondiale. Questo processo significa maggiore industrializzazione, espansione del mercato interno, espansione del mercato della forza-lavoro, maggiore capacita contrattuale del sindacato, accrescimento costante del potere sindacale. Una prospettiva di questo genere non può che generare consenso nei gruppi dirigenti sindacali, che in parte hanno vissuto una esperienza ventennale di estrema debolezza sindacale e non può inoltre che suscitare nuovi gruppi dirigenti proprio in quella prospettiva.

Come può essere vista in questo processo la spontaneità operaia teorizzata dagli spontaneisti?

Per rispondere a questa questione dobbiamo rispondere prima ad un'altra, cosa che gli spontaneisti non hanno mai fatto. Il capitalismo italiano si trova davanti ad una crisi generale o ad una crisi di crescita imperialistica?

E ancora: il capitalismo italiano ha capacita di espansione sul mercato mondiale o non ne ha? E questo mercato può offrire spazi di inserimento al capitalismo italiano?

La nostra risposta, che riafferma l'analisi e la previsione che da anni andiamo conducendo, è che il processo di diffusione del modo di produzione capitalistico su scala mondiale offre possibilità di espansione imperialistica in vari mercati e che il capitalismo italiano ha la capacità di utilizzare queste possibilità.

Se ci troviamo quindi di fronte ad una crisi di crescita imperialistica e non di fronte ad una crisi generale, ne deriva che, una volta eliminati gli ostacoli interni che rallentano la spinta imperialistica, questa potrà pienamente affermarsi e superare la crisi di crescita stessa per andare incontro caso mai, a crisi derivate dalla concorrenza interimperialistica o a crisi generali del mercato mondiale.

Sulla base di questa analisi giudichiamo i caratteri prevalenti della spontaneità della lotta di classe nell'attuale momento. Cambiando il contesto generale cambiano anche i caratteri prevalenti della spontaneità operaia. In una situazione di crisi generale del capitalismo, in una situazione oggettivamente rivoluzionaria, la spontaneità operaia avrà caratteri rivoluzionari sempre a condizione che vi sia un partito leninista capace di coordinarli e potenziarli. Oggi non è cosi, perché oggi la situazione è favorevole all'espansione dell'imperialismo italiano. Tutto ciò non vuol dire che i leninisti siano contro la spontaneità operaia. Vuol dire semplicemente che essi individuano la tendenza generale che determina la spontaneità operaia ed il suo punto d'approdo tradeunionistico. Vuol dire che, nell'attuale momento, la spontaneità operaia non si scontra direttamente sul piano economico con la spinta imperialistica del capitalismo italiano. Può scontrarsi solo a livello politico, cioè solo conoscendo il quadro generale in cui l'imperialismo italiano opera e la tendenza particolare in cui l'imperialismo italiano si sviluppa; infine contrapponendo una strategia proletaria, internazionalistica e rivoluzionaria a quella che l'imperialismo italiano applica.

E dato che fare questo significa porsi al livello del Partito occorre vedere in che modo la lotta operaia può elevarsi politicamente nell'attuale contesto generale.

Una tesi spontaneistica sostiene che la classe operaia nella lotta di fabbrica esprime una "avanguardia interna" sensibile politicamente. Lo sviluppo di questa "avanguardia interna" rappresenterebbe lo sviluppo del partito.

E' una tesi ripresa da una delle tre correnti degli economicisti russi dell'inizio del secolo. Noi non neghiamo che in un processo di formazione dell’ "avanguardia interna" si possa giungere ad una organizzazione politica. Neghiamo invece che questa organizzazione possa corrispondere a tutte le esigenze internazionali della lotta proletaria. Mancando di una strategia internazionale e rivoluzionaria, che di certo non si può ne acquisire ne elaborare esclusivamente nella lotta aziendale, questa organizzazione in nessun modo può rappresentare il Partito della classe operaia. Finirebbe col rappresentare una delle manifestazioni del tradeunionismo.

Ripresentare questa tesi economicistica nell'attuale fase della lotta di classe significa in realtà, contribuire ad impedire la saldatura delle avanguardie operaie con la teoria marxista e con la strategia leninista.

Ogni lotta economica della classe operaia, per quanto arretrata sia, pone sempre una serie di problemi politici perché lascia tutta una serie di problemi irrisolti nei rapporti tra la classe operaia e lo Stato e perché questi problemi sono stati posti in termini riformistici di subordinazione proletaria allo Stato capitalistico. L'attuale fase tradeunionistica da un lato coinvolge sempre piu vasti strati proletari nella lotta economica e dall'altro spinge gli elementi piu avanzati dellaclasse operaia ad urtare contro i limiti della stessa lotta economica.

Gli operai più coscienti sono portati a porsi, perciò, una serie di problemi politici che investono direttamente la questione del potere statale. Relativamente importante e la risposta immediata che gli operai più coscienti danno a queste loro esigenze di classe. Importante e che un processo di crescita politica sia avviato negli elementi di punta delle lotte economiche. In questo senso, anzi, più le lotte economiche sono estese più, indipendentemente dalle loro conclusioni tradeunionistiche, la tendenza alla crescita politica dell'avanguardia di classe si radicalizza ed accelera tutta una serie di momenti intermedi. Importante e, a questo punto, che si instauri un rapporto dialettico tra la teoria marxista e l'esperienza diretta della classe operaia. Questo giusto rapporto viene realizzato dal Partito leninista, non solo nel senso che il Partito porta dall'esterno la coscienza agli elementi più avanzati della classe operaia (il che costituisce solo un aspetto dello sviluppo del Partito) ma anche nel senso che solo nel Partito si può realizzare la fusione tra l'esperienza storica della classe e la sua esperienza più immediata. Il Partito leninista si sviluppa quindi nel corso della lotta di classe con la saldatura della teoria marxista con gli operai più coscienti maturati dalle lotte. Gli operai di avanguardia hanno bisogno del la teoria marxista per poter risolvere i problemi politici che si sono posti. La teoria marxista ha bisogno degli operai di avanguardia per essere diffusa nella classe.

Le lotte operaie che si sono determinate e che si determinano in un capitalismo maturo come l'Italia allargano oggettivamente il processo di sviluppo del partito leninista. Esistono tutte le possibilità oggettive per una saldatura tra la teoria marxista e gli elementi operai più avanzati. Esperienze sociali di vasta portata non possono che aumentare le esigenze teoriche e politiche dei settori più sensibili del proletariato. Ma lo sviluppo del Partito leninista non può essere lasciato al determinismo degli avvenimenti. Esso e il risultato di un'aspra lotta sul fronte teorico, sul fronte politico e sul fronte economico. Solo lottando a fondo su questi tre fronti si riesce ad instaurare un giusto rapporto tra la teoria marxista e l'esperienza della classe operaia e quindi ad accelerarne la saldatura.

Tre compiti importanti si pongono perciò nell'attuale fase di sviluppo del partito leninista.

Primo compito: lottare a fondo contro tutte quelle concezioni teoriche e politiche che in vario modo, impediscono a gli elementi più avanzati della classe operaia di prendere coscienza della situazione imperialistica mondiale, del ruolo dei vari imperialismi, da quel lo americano a quello russo a quello italiano, delle lotte interimperialistiche in cui si cerca di utilizzare i vari settori del proletariato.

Secondo compito: collegare la concezione leninista del Partito alle esigenze di organizzazione che maturano negli operai d'avanguardia. Nella lunga e dura lotta quotidiana gli operai più coscienti avvertono la necessita dell'organizzazione.

Le concezioni spontaneistiche possono fare presa solo nei momenti più caldi della lotta. Crollano, insieme ai loro portatori, nei momenti della riflessione e al quotidiano contatto con l'oppressione e lo sfruttamento del sistema capitalistico.

Il rifiuto piccolo borghese, tipico degli intellettuali che non vogliono porsi al servizio permanente della classe operaia, del partito organizzato diventa localismo, frantumazione delle energie della classe, rifiuto di un piano generale di lavoro rivoluzionario. Gli operai più avanzati invece hanno bisogno di una organizzazione e di un piano di lavoro a lunga scadenza.

Terzo compito: collegare la concezione leninista del Partito alle esigenze di centralizzazione emerse dalle stesse esperienze degli operai piu avanzati. Il Partito leninista e un organo di elaborazione teorica, di analisi, di previsione strategica ed e un organismo di combattimento che corrisponde alle esigenze di lotta del proletariato.

Se all'inizio del nuovo corso della lotta di classe era quasi inevitabile che si formasse un eterogeneo schieramento di correnti e di gruppi, in parte prodotto dall'inizio della disgregazione dello stalinismo e in parte risultato dalla crisi del rapporto parlamentaristico sindacati-partiti, nella misura in cui le lotte operaie pongono problemi politici di fondo per gli elementi d'avanguardia, la selezione di correnti e gruppi diventa un processo inevitabile e necessario. Prima si sbarazza il terreno da questo fenomeno meglio, e più presto le energie rivoluzionarie, oggi disponibili, della classe trovano una coagulazione ed un potenziamento nel Partito leninista, organizzato, disciplinato, centralizzato.

E' lo stesso corso degli avvenimenti, nazionali ed internazionali, a porre con forza il confronto tra il marxismo-leninismo e le posizioni maoiste, spontaneiste e trotskiste. Sono le stesse necessita della lotta rivoluzionaria ad accelerare questo confronto.

La repressione che colpisce gli operai d'avanguardia, che colpisce la nostra organizzazione con la denuncia di militanti e la perquisizione nelle sedi e nelle abitazioni private, richiede un partito leninista ramificato, organizzato, centralizzato che sia atto al combattimento contro tutte le forme della dittatura capitalistica. La classe operaia ha di fronte un nemico potente, organizzato, che dispone di tutti i mezzi economici e che si presenta in molteplici versioni. La campagna controrivoluzionaria scatenata in occasione dell'ondata terroristica reazionaria non e che un pallido esempio di ciò che può scatenare la dittatura della borghesia in manipolazione dell'informazione e nell'esercizio della violenza organizzata. Le frazioni borghesi sono unite nel volere l'eliminazione dei rivoluzionari. Sono divise sui metodi c'e chi vuole farli uscire dalla finestra, c'e chi vuole farli entrare dalla porta, cioè neutralizzarli ed assorbirli in organismi intermedisti ed opportunisti.

Ma se i «riformisti» pensano di poter assorbire e neutralizzare i militanti operai potenzialmente rivoluzionari vuol dire che ritengono, in questo modo, di poter impedire una saldatura tra la teoria marxista e gli elementi d'avanguardia; vuol dire che, per loro, la partita e ancora aperta.

E' chiaro quindi che la lotta per lo sviluppo del Partito leninista deve essere condotta in due direzioni: contro la repressione «aperta» che, tutto sommato, e quella meno pericolosa perché mostra apertamente il suo viso e riesce a far più propaganda in una settimana alla tesi marxista della equivalenza fascismo-democrazia di quanto non siamo riusciti a far noi in tanti anni, e contro la repressione «nascosta» che e più insidiosa e riesce addirittura, ad egemonizzare le manifestazioni contro la repressione «aperta».

Occorre perciò utilizzare questa contraddizione in seno alle frazioni borghesi, sui vari metodi controrivoluzionari, per sviluppare il Partito leninista. Occorre sfruttare un certo lasso di tempo necessario all'unificazione delle frazioni borghesi su un unico metodo controrivoluzionario, cioè sul metodo «riformistico» conseguente alle tendenze di sviluppo dell'imperialismo italiano e dell'egemonia del grande capitale industriale, per attrezzare l'avanguardia operaia alle future battaglie.

Solo un Partito leninista, fortemente organizzato e centralizzato potrà resistere ad una repressione controrivoluzionaria, condotta con strumenti più raffinati e con un apparato statale che avrà elevato al massimo, corrispondentemente al potenziamento economico della sua base sociale, la sua capacita di manipolazione e di violenza organizzata. Di fronte ad uno Stato imperialistico, reso forte ed implacabile nella repressione dalle forze sociali che lo esprimono, solo un Partito leninista che rappresenti il massimo di unificazione delle energie rivoluzionarie ed il massimo di un loro utilizzo razionale può preparare una contro-violenza organizzata, una rivoluzione socialista che sbocchi nella dittatura del proletariato, cioè in quell'esercizio di violenza di classe che e l'inizio della fine di ogni società divisa in classi.

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Ultima modifica 23.12.2003