Ancora su Kronštadt

Trotsky (6 luglio1938)


Pubblicato in Bentornata Bandiera Rossa!

 

Nel mio articolo recente su Kronštadt ho cercato di porre la questione sul piano politico. Vedo ora che molti si interessano al problema della «responsabilità» personale. Souvarine, che da marxista indolente è diventato sicofante esaltato, asserisce nel suo libro su Stalin che nella mia autobiografia ho mantenuto deliberatamente il silenzio sulla ribellione di Kronštadt; si tratta di avvenimenti - dice ironicamente - di cui non ci si vanta. Ciliga, nel suo libro Il paese della menzogna e dell’enigma1, riferisce che nella soppressione di Kronštadt io avrei fucilato «più di diecimila marinai» (dubito che a quei tempi ce ne fossero tanti in tutta la flotta del Baltico). Altri critici si esprimono in questo modo: Sì, obiettivamente la ribellione aveva un carattere controrivoluzionario, ma perché Trotskij ha lanciato una tale spietata repressione nel corso della pacificazione (e - ?) anche dopo?

Non ho mai toccato questa questione e non perché abbia qualche cosa da nascondere ma, al contrario, proprio perché non avevo nulla da dire. La verità è che io personalmente non ho partecipato minimamente alla soppressione della ribellione di Kronštadt, e neanche alla repressione che ha seguito questa soppressione. Ai miei occhi questo fatto non ha nessun significato politico. Facevo parte del governo, e consideravo la soppressione della ribellione come necessaria e quindi ne porto la responsabilità. Solo entro questi limiti ho risposto finora ai miei critici, ma quando i moralisti cominciano ad attaccarmi personalmente, accusandomi di crudeltà esacerbata non richiesta dalle circostanze, penso di avere il diritto di dire: «Signori moralisti, voi state mentendo un po'».

 

La ribellione scoppiò durante il mio soggiorno negli Urali. Venni direttamente a Mosca per il X Congresso del partito. La decisione di sopprimere la ribellione adoperando la forza - se non si fosse riusciti a indurre la fortezza ad arrendersi prima mediante trattative di pace e poi tramite un ultimatum - questa decisione di carattere generale fu presa senza la mia partecipazione diretta; dopo che fu presa questa decisione continuai a restare a Mosca e non presi parte, sia direttamente sia indirettamente, alle operazioni militari. Per ciò che riguarda le repressioni che hanno seguito queste operazioni, erano una cosa che riguardava direttamente la Čeka.

Come mai non andai di persona a Kronštadt? La ragione era di carattere politico. La ribellione era scoppiata durante la discussione sulla cosiddetta questione «dei sindacati». Il lavoro politico a Kronštadt era interamente nelle mani del Comitato di Pietrogrado, alla testa del quale era Zinov'ev. Lo stesso Zinov'ev era il leader instancabile e appassionato nella lotta che nel corso della discussione si era scatenata contro di me. Prima della mia partenza per gli Urali mi trovai a Pietrogrado e parlai a una riunione di marinai comunisti. Lo spirito in generale di questa riunione mi diede una impressione estremamente sfavorevole. Marinai eleganti e ben nutriti, comunisti solamente di nome, mi diedero l'impressione di parassiti rispetto agli operai e agli uomini dell' Armata rossa di quel tempo. Da parte del Comitato di Pietrogrado la campagna era condotta in modo estremamente demagogico. Il personale di comando della flotta era isolato e terrorizzato. La risoluzione di Zinov'ev ricevette forse il 90% dei voti. Ricordo di aver detto a Zinov'ev in quell'occasione: «Tutto va bene qui, fino a che non andrà male».

Dopo Zinov'ev venne con me negli Urali e qui ricevette un messaggio urgente che lo informava che a Kronštadt le cose «stavano andando assai male». La stragrande maggioranza dei marinai «comunisti» che appoggiarono la risoluzione di Zinov'ev presero parte alla ribellione. Io ritenni - e l'Ufficio politico non fece obiezioni - che le trattative con i marinai e, in caso di necessità, la loro pacificazione, dovessero essere affidate a quei dirigenti che fino a ieri avevano goduto della fiducia politica di questi stessi marinai, altrimenti i kronštadtiani avrebbero preso la questione come se io avessi voluto «vendicarmi» di loro per il voto che avevano dato contro di me durante la discussione di partito.

Giuste o no, in ogni caso erano esattamente queste le considerazioni che determinarono il mio atteggiamento, e quindi mi estraniai completamente e ostentatamente da questa questione. Per ciò che riguarda la repressione, per quanto ricordi era Dzeržinskij che ne era incaricato personalmente e un tipo come lui non poteva tollerare interferenze da chicchessia nelle sue funzioni, « e aveva assolutamente ragione».

Che ci siano o non ci siano state vittime innocenti, questo non lo so. A tale proposito mi fido di Dzeržinskij più di quanto possa fidarmi dei suoi critici tardivi. Per mancanza di dati non posso ora decidere, a posteriori, chi avrebbe dovuto essere punito e come. Le conclusioni di Victor Serge a tale proposito - conclusioni di terza mano - non hanno alcun valore per me. Sono però pronto a riconoscere che la guerra civile non è una scuola di umanesimo. Gli idealisti e i pacifisti hanno sempre accusato di «eccessi», ma il punto principale è che gli «eccessi» scaturiscono dalla natura stessa della rivolu zione, che in sé non è altro che un «eccesso» della storia. Chi vuole può su questa base rifiutare (scrivendo qualche articolo) la rivoluzione in generale. lo non lo faccio. In questo senso mi assumo piena e completa responsabilità per la soppressione della ribellione di Kronštadt.


Ultima modifica 09.11.2011