Questo testo fu dettato da Lenin alle sue segretarie in varie riprese dal 27 al 31 dicembre 1922.
Trascritto dall'Organizzazione Comunista Internazionalista (Che fare) e
da Pagine rosse, Gennaio 2003
A quanto pare sono fortemente in colpa verso gli operai della Russia perché non mi sono occupato con sufficiente energia e decisione della famosa questione della autonomizzazione [1] ufficialmente detta, mi pare, questione della unione delle repubbliche socialiste sovietiche.
Quest'estate, quando la questione è sorta, io ero malato, e poi, nell'autunno, ho riposto eccessive speranze nella mia guarigione e nella possibilità che le assemblee plenarie di ottobre e dicembre [2] mi avrebbero permesso di occuparmi di tale questione. Ma invece non ho potuto essere presente né al plenum di ottobre (su questo punto) né a quello di dicembre, e così la questione è stata discussa quasi completamente senza di me.
Sono riuscito solo a parlare con il compagno Dzerginski, che è venuto dal Caucaso e mi ha raccontato come si pone questo problema in Georgia. Sono riuscito anche a scambiare qualche parola con il compagno Zinoviev e a esprimergli i miei timori a questo proposito. Da ciò che mi ha comunicato il compagno Dzerginski, che era stato a capo della commissione inviata dal Comitato centrale per "indagare" sull'incidente georgiano, potevo infatti trarre motivo solo di grandissimi timori. Se le cose erano arrivate a tal punto che Orgionikidze aveva potuto lasciarsi andare all'uso della violenza fisica, come mi ha comunicato il compagno Dzergínski, ci si può immaginare in quale pantano siamo scivolati. Evidentemente tutta questa storia della "autonomizzazione" era radicalmente falsa e intempestiva.
Si dice che ci voleva l'unità dell'apparato. Ma di dove sono venute fuori queste affermazioni? Non sono forse venute proprio da quell'apparato russo che, come ho già rilevato in una delle note precedenti del mio diario, abbiamo ereditato dallo zarismo, e che è stato solo appena appena ricoperto di uno strato di vernice sovietica?
Non c'è dubbio che si sarebbe dovuto aspettare ad attuare questa misura finché non avremmo potuto dire di essere sicuri del nostro apparato, come di un apparato effettivamente nostro. Ma ora dobbiamo in coscienza affermare, al contrario, che noi chiamiamo nostro un apparato che in realtà ci è ancora profondamente estraneo, che rappresenta il filisteismo borghese e zarista, la cui trasformazione in cinque anni, mancando l'aiuto di altri paesi e prevalendo le "occupazioni" della guerra e della lotta contro la fame, non era assolutamente possibile.
In tali condizioni è perfettamente naturale che la "libertà di uscire dall'Unione", con la quale ci giustifichiamo, si rivela un inutile pezzo di carta, incapace di difendere gli allogeni della Russia dall'invasione di quell'uomo veramente russo, da quello sciovinista granderusso, in sostanza vile e violento, che è il tipico burocrate russo. Non vi è dubbio che una percentuale insignificante di operai sovietici e sovietizzati affogherà in questa marmaglia sciovinista granderussa come una mosca nel latte.
Si dice, a difesa di questa iniziativa, che sono stati separati i commissariati del popolo che riguardano direttamente il carattere nazionale, l'educazione nazionale. Ma qui sorge la domanda: possono questi commissariati del popolo essere separati completamente? E la seconda domanda: abbiamo noi preso con sufficiente sollecitudine i provvedimenti necessari per difendere effettivamente gli allogeni dal Diergimorda [3] veramente russo? Penso di no, sebbene avessimo dovuto e potuto farlo.
Io penso che qui hanno avuto una funzione nefasta la frettolosità di Stalin e la sua tendenza a usare i metodi amministrativi, nonché il suo odio contro il famigerato "socialnazionalismo". Il rancore in generale, è di solito, in politica, di grandissimo danno.
Io temo pure che il compagno Dzerginski, che è andato nel Caucaso a indagare sui "crimini" di questi "socialnazionali" si sia distinto anche lui solo per il suo atteggiamento da vero russo (è noto che gli allogeni russificati esagerano sempre per quanto riguarda l'atteggiamento da vero russo), e l'imparzialità di tutta la sua commissione è caratterizzata a sufficienza da "metodi violenti" impiegati da Orgionikidze. Io penso che nessuna provocazione, nessuna offesa perfino, può giustificare questi metodi violenti russi e che il compagno Dzerginski è colpevole, senza possibilità di giustificazione, di aver preso alla leggera questi atti di violenza.
Orgionikidze rappresentava il potere nei confronti di tutti gli altri cittadini del Caucaso. Orgionikidze non aveva il diritto di manifestare quella irritabilità cui hanno accennato lui e Dzerginski, Orgionikidze, al contrario, era tenuto a comportarsi con quell'autocontrollo con cui non è tenuto a comportarsi nessun comune cittadino, tanto più se è accusato di un delitto "politico". Infatti i socialnazionalí, erano in sostanza cittadini accusati di un delitto politico, e tutte le circostanze in cui era stata formulata questa accusa non li potevano qualificare altrimenti.
Qui sorge una questione di principio molto importante: come intendere l'internazionalismo [4].
Ho già scritto nelle mie opere sulla questione nazionale che non bisogna assolutamente impostare in astratto la questione del nazionalismo in generale. E' necessario distinguere il nazionalismo della nazione dominante dal nazionalismo della nazione oppressa, il nazionalismo della grande nazione da quello della piccola.
Nei confronti del secondo nazionalismo, noi, appartenenti a una grande nazione, ci troviamo ad essere quasi sempre, nella prassi storica, colpevoli di infinite violenze, e anzi, compiamo in piú, senza nemmeno accorgercene, un numero infinito di violenze e offese: mi basta ripensare agli anni in cui vivevo nella regione del Volga e al modo come da noi trattano gli allogeni, come il polacco venga chiamato solo "polaccuzzo", come prendono in giro il tataro, chiamandolo "principe", e l'ucraino "chochol" e il georgiano e gli altri allogeni del Caucaso "kapkasi".
Perciò l'internazionalismo da parte della nazione dominante, o cosiddetta "grande nazione" (sebbene sia grande soltanto per le sue violenze, grande soltanto come è grande Diergimorda), deve consistere non solo nell'osservare la formale uguaglianza tra le nazioni, ma anche una certa ineguaglianza che compensi da parte della nazione dominante, della grande nazione, l'ineguaglianza che si crea di fatto nella realtà. Chi non l'ha capito, non ha capito l'atteggiamento realmente proletario verso la questione nazionale, ed è rimasto, in sostanza, su una posizione piccolo-borghese, e perciò non può non scivolare ad ogni istante nella posizione borghese.
Che cosa è importante per il proletario? Per il proletario è non soltanto importante, ma essenzialmente, necessario assicurarsi la massima fiducia degli allogeni nella lotta di classe proletaria. Che cosa occorre per assicurarsela? Occorre non solo l'eguaglianza formale. Occorre compensare, in un modo o nell'altro, con il proprio comportamento e con le proprie concessioni verso gli allogeni, quella sfiducia, quella diffidenza, quelle offese che nella storia passata gli sono state provocate dal governo della nazione "grande potenza".
Io penso che per dei bolscevichi, per dei comunisti, non sia necessario spiegare tutto ciò ulteriormente e con maggiori particolari. Io penso che in questo determinato caso, nei confronti della nazione georgiana abbiamo un esempio tipico di come un atteggiamento veramente proletario richieda da parte nostra una grande prudenza, un grande tatto e una grande capacità di compromesso. Il georgiano che considera con disprezzo questo aspetto della questione, che facilmente si lascia andare all'accusa di "socialnazionalismo" (quando egli stesso è non solo un vero e proprio "socialnazionale", ma anche un rozzo Diergimorda grande-russo) quel georgiano in sostanza viola gli interessi della solidarietà proletaria di classe, perché niente ostacola tanto lo sviluppo e il consolidamento della solidarietà proletaria di classe quanto l'ingiustizia nazionale, e a niente sono così sensibili gli appartenenti alle nazionalità "offese" come al sentimento di eguaglianza e alla violazione di questa eguaglianza, anche solo per leggerezza, anche solo sotto forma di scherzo, alla violazione di questa eguaglianza da parte dei loro compagni proletari. Ecco perché in questo caso è meglio esagerare dal lato della cedevolezza e della comprensione verso le minoranze nazionali che non il contrario. Ecco perché in questo caso l'interesse più profondo della solidarietà proletaria, e quindi anche della lotta di classe proletaria esige che noi non abbiamo mai un atteggiamento formale verso la questione nazionale, ma che teniamo sempre conto della immancabile differenza che non può non esserci nell'atteggiamento del proletario della nazione oppressa (o piccola) verso la nazione dominante (o grande).
Quali misure pratiche bisogna allora prendere nella situazione creatasi?
In primo luogo, bisogna consolidare e rafforzare l'unione delle repubbliche socialiste; su questa iniziativa non vi possono essere dubbi. Essa ci è necessaria, come è necessaria al proletariato comunista mondiale per la lotta contro la borghesia mondiale e per la difesa contro gli intrighi di quest'ultima.
In secondo luogo, bisogna mantenere l'unione delle repubbliche socialiste per quanto riguarda l'apparato diplomatico. In effetti questo apparato è un'eccezione nell'ambito del nostro apparato statale. In esso non abbiamo ammesso nessun uomo di una certa influenza del vecchio apparato zarista. In esso tutto l'apparato di una certa autorità è composto di comunisti. Perciò questo apparato si è già conquistato (lo si può dire con sicurezza) la fama di apparato comunista sperimentato, epurato del vecchio apparato zarista, borghese e piccolo-borghese, in misura incomparabilmente maggiore che non l'apparato di cui siamo stati costretti a servirci negli altri commissariati del popolo.
In terzo luogo, bisogna punire in modo esemplare il compagno Orgionikidze (lo dico con rincrescimento tanto maggiore in quanto appartengo personalmente alla cerchia dei suoi amici e ho lavorato con lui all'estero nell'emigrazione) e così pure portare a compimento o rinnovare l'indagine su tutti i materiali della commissione Dzerginski, allo scopo di correggere l'enorme massa di inesattezze e di giudizi parziali che indubbiamente vi si trovano. Politicamente responsabili di tutta questa campagna, veramente nazionalista-grande-russa, bisogna considerare, naturalmente Stalin e Dzerginski.
In quarto luogo, bisogna introdurre le norme più rigorose riguardo all'uso della lingua nazionale nelle repubbliche di altra nazionalità che fanno parte della nostra Unione, e controllare queste norme con particolare accuratezza. Non c'è dubbio che con il pretesto dell'unità del servizio ferroviario, con il pretesto dell'unità del servizio fiscale, ecc. ecc., da noi, con l'apparato che abbiamo oggi, verrà fuori una quantità di arbítri di tipo veramente russo. Per lottare contro questi arbítri è necessaria una particolare ingegnosità, per non parlare poi di una particolare rettitudine, da parte di coloro che si accingeranno a questa lotta. Qui ci vuole un codice particolareggiato, che possono redigere con un certo successo solo gli appartenenti alle minoranze nazionali che vivono in una determinata repubblica. Inoltre, non bisogna affatto escludere a priori che, in seguito a tutto questo lavoro, al prossimo congresso dei soviet non si torni indietro, e cioè si lasci l'unione delle repubbliche socialiste sovietiche solo per quel che riguarda la difesa e la diplomazia, e in tutti gli altri settori si ristabilisce la piena autonomia dei singoli commissariati del popolo.
Bisogna tener presente che lo spezzettamento dei commissariati del popolo e la mancanza di coordinamento del loro lavoro con Mosca e con gli altri centri possono essere sufficientemente bloccati dall'autorità del partito, se questa verrà usata con sufficiente avvedutezza e imparzialità; il danno che può derivare al nostro Stato dall'assenza di apparati nazionali unificati con l'apparato russo è incommensurabilmente minore, infinitamente minore del danno che deriverebbe non solo a noi, ma a tutta l'Internazionale, a centinaia di milioni di uomini che compongono i popoli dell'Asia, a cui tocca entrare sulla scena della storia nel prossimo futuro, subito dopo di noi.
Sarebbe inescusabile opportunismo se noi, alla vigilia di questa entrata in scena dell'Oriente e all'inizio del suo risveglio, minassimo la nostra autorità tra i suoi popoli, sia pure con la minima grossolanità e ingiustizia nei confronti dei nostri stessi allogeni. Una cosa è la necessità di essere compatti contro gli imperialisti dell'Occidente, che difendono il mondo capitalistico; qui non vi possono essere dubbi, e non ho bisogno di dire che approvo incondizionatamente queste misure; altra cosa è quando noi stessi cadiamo, anche soltanto nelle piccolezze, in atteggiamenti imperialistici verso le nazionalità oppresse, minando così completamente tutta la sincerità dei nostri princípi, tutta la nostra difesa di principio della lotta contro l'imperialismo. E il domani della storia universale sarà appunto il giorno in cui si sveglieranno definitivamente i popoli oppressi dall'imperialismo, che ora appena si destano, e in cui comincerà la lunga, difficile e decisiva lotta per la loro liberazione.
Lenin
1. Il problema della autonomizzazione sorse al momento di creare l'Unione delle repubbliche sovietiche mediante la loro integrazione nella RSFSR sulla base dell'autonomia. Un progetto di risoluzione a questo proposito era stato presentato nel settembre 1922 da Stalin e approvato da una commissione del CC, creata per preparare la discussione che si doveva svolgere all'assemblea plenaria del CC sui futuri rapporti tra la RSFSR, la repubblica socialista sovietica di Ucraina, la repubblica socialista sovietica di Bielorussia e la federazione Transcaucasica. Nella sua lettera del 27 settembre 1922, indirizzata ai membri dell'Ufficio politico, Lenin sottopose questo progetto a una critica severa. Egli propose una soluzione del tutto diversa in linea di principio: l'unione volontaria di tutte le repubbliche sovietiche, compresa la RSFSR, in seno ad una nuova formazione statale, l'Unione delle repubbliche sovietiche sulla base di una completa parità di diritti.
"... Noi ci riconosciamo eguali nei diritti, scriveva Lenin, con la RSS di Ucraina, e con le altre, e entriamo su un :piede di uguaglianza con esse, in una nuova unione, in una nuova federazione..." . Conformandosi alle indicazioni di Lenin, la commissione del CC modificò il progetto di risoluzione, e il nuovo progetto fu approvato nell'ottobre 1922 dalla assemblea plenaria del CC del partito. Sulla base di queste decisioni fu allora iniziato il lavoro per preparare l'unione delle repubbliche sovietiche. Il 30 dicembre 1922 il I Congresso dei soviet dell'URSS approvò la storica risoluzione sulla formazione dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche.
Attribuendo un'importanza eccezionale a una giusta applicazione della politica verso le nazionalità e alla realizzazione pratica della Dichiarazione e del Trattato approvati dal congresso dei soviet, Lenin dettò questa sua lettera il 30 e il 31 dicembre 1922. Di essa fu data lettura a una riunione dei dirigenti delle delegazioni al XII Congresso del PCR (b) nell'aprile 1923 e il congresso approvò una risoluzione Sulla questione nazionale fondata sulle indicazioni di Lenin. Ma il motivo immediato della lettera fu il conflitto che era sorto nel partito comunista della Georgia tra il Comitato territoriale transcaucasico dei PCR (b), diretto da Orgionikidze e il gruppo Mdivani, che intendeva accentuare la "particolarità" del popolo georgiano e si opponeva alla unificazione politica delle repubbliche della Transcaucasia. L'atteggiamento di Mdivani e del suo gruppo fu condannato dai comunisti georgiani, in conferenze e congressi, nonché dallo stesso Lenin, che scrisse nel novembre 1921 una risoluzione a nome dell'Ufficio politico del CC, per la creazione di una federazione transcaucasica e inviò un telegramma a questo proposito nell'ottobre del 1922. Tuttavia Orgionikidze, che doveva attuare la politica nazionale del partito in Georgia. commise errori di caporalismo e di frettolosità, a volte eludendo il parere e le norme del CC del partito georgiano. Nei rapporti con il gruppo di Mdivani, Orgionikidze non seppe mantenere il necessario autocontrollo e, offeso durante una discussione un rappresentante di questo gruppo, lo schiaffeggiò. I fautori di Mdivani, che erano la maggioranza nel CC del Partito comunista georgiano, uscirono dal partito e protestarono presso il CC del PCR (b). Il 25 novembre 1922 l'Ufficio politico del CC dei PCR (b) decise allora di inviare in Georgia una commissione d'indagine guidata da Dzerginski. Questi tornò a Mosca il 12 dicembre, ed ebbe subito un colloquio con Lenin. In seguito al colloquio e alle preoccupazioni circa l'attuazione dei principi dell'internazionalismo proletario nell'opera di riunificazione delle repubbliche sovietiche, Lenin dettò questa lettera, cui attribuiva notevole importanza e che si proponeva di pubblicare come articolo. A causa però dell'improvviso aggravarsi della sua malattia, dopo il 6 marzo 1923, non poté dare disposizioni definitive circa la sua pubblicazione. Il 16 aprile 1923 la segretaria di Lenin, Fotieva, trasmise la lettera all'Ufficio politico, che, come si è detto sopra, la fece conoscere ai capi delegazione del XII Congresso del PCR (b). (Cfr., il Diario dei segretari di Lenin, pubblicato in appendice al volume 42 delle opere complete).
2. Si tratta delle assemblee plenarie del CC del PCR (b) nelle quali si erano discusse le questioni relative alla formazione dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche.
3. Figura di poliziotto nell'Ispettore generale di Gogol.
4. Seguono nel testo stenografico le seguenti parole, poi cancellate: "Penso che i nostri compagni non abbiano studiato a sufficienza questa importante questione di principio".
Ultima modifica 13.01.2003